giovedì 29 novembre 2007

No beauty, no party


Una nota pubblicità di prodotti cosmetici termina il proprio messaggio promozionale con l'inquietante espressione: "La bellezza è un diritto di tutti".

Cosa intende? Se lo slogan serve a significare che tutti hanno diritto a godere di un po' di bellezza quotidianamente, tra tutte le sfighe che possono capitare, allora si, sono daccordo. Ma temo che il messaggio sia un'altro: la bellezza è una caratteristica a cui hanno diritto tutti. E non credo proprio sia così.

La bellezza, proprio perchè tale, è un attributo soltanto di qualcuno; ci sono vari tipi di bellezza, che rispondono tutti a canoni decisamente soggettivi, questo è ovvio: ma soprattutto per quel che riguarda la bellezza "estetica", fortunatamente non si tratta proprio di una proprietà universale. Anzi, senza una massa informe e anonima, la bellezza non significherebbe nulla.
Non si spegherebbe altrimenti come mai hanno così successo i programmi televisivi in cui la bellezza è ostentata, svuotata, svenduta per nulla: tutti possono essere come Costantino, come Kate Moss. Se la bellezza fosse veramente di tutti, non si vedrebbero intere generazioni di ragazzine pettinate con la stupidissima frangia della Tatangelo, per capirci. Questo è ciò che si ottiene nel voler rendere "universale" la bellezza.
I film, in genere, sono farciti di splendore in ogni personaggio, dal protagonista al fattorino che compare in una scena di spalle, per questo spesso hanno un successo spropositato rispetto alla qualità vera della pellicola: è un mondo perfetto, ma lontanissimo da quello che è il nostro; ce ne rendiamo conto tutti, anche il più scemo. Io non auspico che la bellezza diventi una proprietà di tutti, i beni più preziosi sono anche i più rari.

Anzi: ben venga la "non-bellezza": così vedere la propria ragazza, e pensare che sia bella, ha un significato. Ci si sente fortunati quando si può godere della bellezza altrui, quando la si individua. Scorgere quel tratto, quella caratteristica, quel gesto, è un'emozione che riempie come poche.
Non toglieteci pure questo.

sabato 17 novembre 2007

Susan "Sadie" Atkins


Guardate per un attimo la foto che apre questo mio post.
Bella, vero? Sembra la classica brava ragazza della porta accanto, oppure quella che si siede vicino a te all'università, quella che ti colpisce per la sua timidezza e l'ordine con cui prende gli appunti.
Sarebbe la classica fidanzata da presentare ai genitori, elegante e educata.

Bene, guardatela ancora per qualche secondo.

Quella ragazza è Susan "Sadie" Atkins, ovvero la più spietata delle ragazze della Manson Family. L'8 agosto 1969 entrò a 10050 Cielo Drive, Beverly Hills, alla villa che Sharon Tate e il marito Roman Polanski avevano appena comprato da Terry Melcher, insieme ad altri tre compomenti della "famiglia", torturando e massacrando tutti i presenti. Sharon Tate era incinta di otto mesi, la sera che venne uccisa.
Durante il processo, ammise di essere l'autrice dell'omicidio della donna, e di aver "leccato il suo sangue dalle dita".

Adesso guardate di nuovo la foto.
Fa un effetto diverso, vero?

P.s. Ho ascoltato la storia di Manson e la sua family nel programma di Carlo Lucarelli su radio dj: successivamente sono corso su internet, per informarmi e scartabellare i documenti dei processi, le fotografie, le cronache agghiaccianti. Non sarei così interessato a studiare psicologia criminale, se queste cose non destassero un certo fascino su di me, ma non fraintendete: non stimo queste persone, non stimo Susan Atkins. Anzi. Il fatto che fosse una ventunenne "succube" di una personalità come quella di Manson, non la accetterò mai come giustificazione.

Se qualcuno di voi, però, fosse interessato ad approfondire, a conoscere meglio quella ragazza della foto, vada qui.

Per una ricostruzione, invece, dei fatti della notte dell'8 agosto, vi rimando al blog di Alexandra.

sabato 10 novembre 2007

Viaggiando con Morrison


Ero alla stazione, aspettavo il treno per torino, e l'iPod riempiva le mie orecchie di Morrison, per l'ossessione che ritorna.
Ho visto, a un certo punto, un amico che proprio amico non è, di quelli che se li incontri sul treno non sei abbastanza estraneo per far finta di nulla, ma nemmeno abbastanza conoscente da poter viaggiare insieme, discorrendo. Persona appiccicosa per di più.
Eventualmente, se lui mi avesse visto, sarebbe stata un'ora di imbarazzi e frasi di circostanza. Ho deciso, quindi, di girarmi dall'altra parte, prima che lui si rendesse conto di me, facendo anche finta di telefonare, per essere sicuro che, anche se mi avesse notato, non avrebbe avuto il coraggio di avvicinarmi.
Quando il treno era ormai arrivato, lui mi si era però avvicinato: vedevo la sua immagine riflessa nella lucida fiancata del convoglio, che aspettava, proprio dietro di me che le porte si aprissero. Ero fregato.
Conclusi con pochi convenevoli la mia telefonata immaginaria, mi piegai per raccogliere le valigie, sicuro che lui mi avrebbe attaccato inevitabilmente bottone, ma mi passò invece di fianco, senza voltarsi, e si buttò in un vagone. Io, con abile sapienza tattica, mi gettai nel vagone antistante, evitando così, con un certo compiacimento, di starlo a sentire fino a Porta Nuova.
Poi, però, il compiacimento mutò rapidamente in dubbio: era impossibile che non mi avesse visto. E quindi? E quindi forse lui stesso aveva cercato di evitarmi. Ma come? Una persona che "planetariamente" è considerata uno sfigato, mi evita?
Lui si permette di evitare me? Mi attanagliò un indescrivibile sconforto, mentre la voce piena di Morrison di certo non aiutava a scacciare i fantasmi.
Avrei voluto alzarmi per andare di là a chiedergli come si era permesso, lui, di evitare me. Spaccargli la faccia, magari. Una vocina intanto mi chiedeva, inascoltata, perchè ne facevo un dramma, visto che avevo desiderato con tutto me stesso, solo pochi minuti prima, di potergli sfuggire.
Ne faccio un dramma perchè non posso essere rifiutato, sono io a rifiutare gli altri.

Before I sink into the big sleep, I want to hear, I want to hear... The scream of the butterfly.

I treni, i pullman, sono sempre pieni di una musica invisibile. Ogni persona che incontri con un paio di cuffie nelle orecchie, ha una colonna sonora per il viaggio che sta percorrendo: sono melodie diverse, l'una dall'altra, per lo stesso film.

La colonna sonora è così importante per la buona riuscita del film?