martedì 23 dicembre 2008

True love waits


La prima cosa che ho conosciuto di lei era il profumo di fragola. Ero seduto sul pullman che mi portava a casa dall’università, guardavo fuori dal finestrino. Se avessi saputo che film andava a cominciare, non sarei rimasto lì con quell’aria imbronciata e lo scazzo sempre acceso.
Era inverno: il sole tramontava dietro i palazzi, mentre lei seduta accanto a me si toglieva i guanti e la sciarpa. Mi ero voltato a guardarla per il suo profumo intenso e per il fatto che si era seduta di fianco a me, anche se c’erano decine di posti liberi. Aveva corso per prendere il pullman, aveva l’aria affannata, ma mi ero comunque immediatamente innamorato di lei. La madre dei miei figli, avevo pensato.
Il destino sa scherzare a volte, se poi la selezione casuale dell’iPod diventa sua complice, il gioco è fatto. Il suo sguardo aveva incontrato il mio proprio mentre le prime note di True love waits dei Radiohead prendevano vita nelle mie orecchie.
“Cosa ascolti?” mi aveva chiesto. Senza aspettare una risposta aveva afferrato un’auricolare, aveva ascoltato qualche secondo in silenzio, poi mi aveva detto, come se ci conoscessimo da sempre: “bella, mi piace. D’ora in poi sarà la nostra canzone”.

I'll drown my beliefs
to have you be in peace


Si chiamava Viola, aveva qualche anno in meno e, come avrei scoperto poco dopo, frequentava alcuni corsi insieme a me.
Durante una pausa si era avvicinata, mi aveva chiesto se avessi una sigaretta. Avevo smesso da poco tempo, e mi ero maledetto per questo. Lei aveva sbuffato, appoggiandosi al muro per catturare i pochi raggi di sole capaci di filtrare attraverso le maglie di un dicembre mai così freddo.
Avevamo parlato, principalmente di dischi e di arte, argomenti con i quali mi trovavo abbastanza a mio agio. Non me l’ero sentita di obiettare, quando aveva citato tra i suoi cinque album preferiti Bridge Over Troubled Water di Simon and Garfunkel. Avrei avuto tempo per farle cambiare idea.

I'll dress like your niece
to wash your swollen feet


Mi aveva parlato a lungo del suo ragazzo, un certo Claudio con cui stava da circa tre anni, mentre io avevo cercato di farle capire come le donne in cui mi ero imbattuto avevano sempre finito per deludermi. Tranne lei, ma non gliel’avevo mai detto. Uscivamo sempre più spesso, per un cinema, una birra scura o per un cappuccino in quel Caffé letterario che frequentavano tutti i giovani più cool in quel periodo. Più il sentimento per lei cresceva, meno ero capace di descriverlo. Adoravo ogni piccola cosa di lei: le tonnellate di piccole caramelle alla fragola che consumava ogni giorno per nascondere il puzzo del tabacco, i suoi orribili guanti colorati, la sua collezione di sorpresine kinder perfettamente ordinate sulla sua scrivania. Lei diceva di amare il mio lato malinconico, la mia capacità di nascondere a fondo i sentimenti. Giurava che prima di morire mi avrebbe visto piangere, ma lo diceva sorridendo. Migliori amici senza saperlo, affrontavamo la vita gettandoci l’uno sull’altro le rispettive paure; eravamo prigionieri su una nave chiamata ovvietà, dalla quale eravamo però troppo spaventati per decidere di saltare giù e affrontare il mare in burrasca dell’ignoto.

Just don't leave
don't leave


Gli anni erano passati, senza che riuscissi a dirle quello che provavo, tra un fallimento e l’altro di ogni singola relazione in cui mi ero buttato. Era così ovvio quello che avrei dovuto fare, che sembrava davvero troppo sbagliato. Lei aveva vinto un concorso in un’università a Berlino, era partita con la promessa di scriverci ogni giorno, di vederci il più possibile e di non dimenticare mai che eravamo come la gabbianella e il gatto del famoso racconto.
La sera prima di partire era venuta a salutarmi a casa, invece di andare da Claudio. A lui era sicuramente dispiaciuto, ma non aveva voluto discutere su questo. Eravamo rimasti sdraiati sul letto, ascoltando la nostra canzone in silenzio. Poi era partita. Non si era voltata e senza saperlo si era persa le lacrime che i miei occhi non erano riusciti a trattenere.

And true love waits
in haunted attics
and true love wins
on lollipops and crisps


Ci eravamo davvero sentiti praticamente ogni giorno durante la sua assenza. Era tornata carica di progetti e di entusiasmo per il futuro. Era un bel periodo per entrambi, fino a quando un giorno mi aveva detto che andava a vivere con Claudio. Lo aveva detto senza guardarmi negli occhi, imbarazzata dal silenzio che si era creato poi.
Ero felice per lei, ma una parte di me era schiacciata da questa notizia e aveva bisogno di bere.
Avevo regolato i conti con la cosa in un bar, la sera stessa, da solo.
Tornato a casa avevo ascoltato la nostra canzone mille e mille volte. Poi mi ero addormentato.

I'm not living
i'm just killing time


Avevo conosciuto una ragazza, poco dopo. Non conosceva i Radiohead, ma era dolce: sapeva di miele e cioccolato. Ci eravamo sposati quasi per gioco, in un marzo particolarmente troppo caldo per i miei gusti. Viola aveva partecipato alla cerimonia insieme a Claudio. Avevamo riso, scherzato, quel giorno, insieme ai parenti riuniti. Ma in me qualcosa non andava, e lo sapevo. Viola aveva il mio stesso sguardo.

Your tiny hands
your crazy kiss and smile


Come un sogno bruscamente interrotto, il mio matrimonio era finito senza che avessi nemmeno il tempo di rendermene conto. Avevo riportato le mie cose nel mio vecchio appartamento, felice di sentire che quel profumo di antico e libri troppe volte sfogliati non l’aveva abbandonato. Avevo 34 anni, un divorzio alle spalle e troppi fallimenti da sopportare, ma riuscivo ancora a essere ottimista sul futuro.
Una sera Viola aveva suonato il campanello. Le avevo aperto la porta, fuori diluviava e lei era fradicia. Mi aveva abbracciato, senza dire nulla, per diversi minuti.
Lei e Claudio si erano lasciati. Sapeva da sempre di non amarlo, ma si era lasciata trasportare dagli eventi per tutto quel tempo. Ora se ne rendeva conto.
Le avevo prestato una felpa, dentro la quale sembrava un piccolo pulcino bagnato; mi aveva chiesto se poteva fermarsi a dormire per quella notte soltanto. Era bastata.
Ci eravamo baciati, proprio mentre suonava la nostra canzone. Sapeva di fragola. Tutto ciò che mi era sembrato sbagliato in quegli anni, ora sembrava perfettamente coerente, meraviglioso e soprattutto giusto.

Just lonely, longing.

Mi aveva guardato negli occhi, subito dopo.
“È colpa della nostra canzone”, aveva detto. “Se ci siamo baciati?” le avevo chiesto io, accarezzandole i capelli, mentre se ne stava sdraiata affondando il parte del volto nel mio cuscino.
“No, se abbiamo aspettato così tanto”.
Avevo sorriso.
True love waits.