giovedì 29 maggio 2008

Senza titolo





Ciao Monica. Ciao Nico.

lunedì 12 maggio 2008

Fine del mondo


Non c'è tempo, cazzo, levati dalla strada!!

Non gli piaceva essere scortese, di solito, ma adesso quel tizio sdraiato in mezzo alla strada gli aveva veramente fatto perdere la pazienza. Aveva si e no una quarantina di minuti e sapeva che sarebbe stato difficile arrivare a casa di lei in tempo, figuriamoci se su tutta la strada fino in centro avesse incontrato personaggi come quello.
Mise la mano sul clacson, ma il tizio non ne voleva sapere di spostarsi: si era, anzi, limitato a voltare la testa in sua direzione, mostrando un grande sorriso privo di scherno.

Ma che ti urli, cosa te ne frega ormai?

Quando Paolo sentì pronunciare queste parole, capì che nn ci sarebbe stato verso di convincerlo a farsi da parte: fece un piccolo pezzo di retromarcia, poi spinse il piede fino in fondo all'acceleratore, cercando di passare il più possibile vicino al fosso.
L'uomo disteso sull'asfalto riuscì a scansarsi un poco, ma l'auto gli passò comunque su entrambe le gambe: Paolo sentì solo l'urlo di dolore da dentro l'abitacolo, cercando di evitare di guardare nello specchietto retrovisore il risultato del suo atto impulsivo. Ma nn ce la fece: l'uomo si contorceva tenendosi un ginocchio, e urlava frasi incomprensibili verso la sua targa che si allontava a gran velocità.
Beh, durerà poco, pensò, cercando di scacciare il senso di colpa.

Percorse, spingendo non poco sull'acceleratore, il tratto di tangenziale: come aveva previsto non c'era praticamente nessuno in giro: alcune automobili erano parcheggiate malamente ai bordi della carreggiata, in stato di totale abbandono. Sapeva che tra pochi minuti anche lui avrebbe dovuto abbandonare la sua auto e proseguire a piedi: sicuramente in centro era impossibile accedere, ci sarebbe stata gente ovunque.
Il cielo cominciava a scurirsi, lentamente: le nuvole occupavano gran parte del cielo e una pioggia fine cadeva sull'asfalto, rendendolo scivoloso. Guardò l'orologio: maledizione, mancava poco più di mezz'ora. Doveva riuscire a raggiungerla prima che fosse troppo tardi, altrimenti non sarebbe riuscito a parlarle. Se solo si fosse deciso un po' prima...

Arrivato nella zona degli ospedali, si rese conto che le sue previsioni erano nuovamente esatte: una schiera di macchine era ferma, incolonnata come nei giorni di sciopero dei mezzi. La differenza era che ora non c'era nessuno sulle automobili. Abbandonate. Tanto non sarebbero più servite a nessuno. Scese senza spegnere il motore, e cominciò a correre sotto la pioggia verso il sottopasso che portava in centro.
Guardò il cielo: nulla faceva presagire che di li a poco sarebbe caduto il meteorite che avrebbe cancellato l'intera umanità.
Mentre imboccava il tunnel sotterraneo, realizzò che effettivamente era normale che non ci fossero segnali atmosferici dell'imminente tragedia: l'impatto era stato previsto nel centro del Brasile: in Italia non l'avrebbero nemmeno visto, forse. Al telegiornale avevano detto che la popolazione del continente americano sarebbe stata spazzata via immediatamente dall'impatto, mentre il resto del mondo avrebbe semplicemente cessato di esistere nel momento in cui il pianeta si sarebbe spezzato in due, per poi disintegrarsi. Rassicurante. Paolo non sapeva nulla di fisica e di geologia, ma adesso il modo in cui sarebbe morto era l'ultimo dei suoi problemi. Cioè, capiamoci: non avrebbe voluto morire, certo. Però di fronte alla cancellazione dell'intera umanità... Beh, la tua morte sicuramente ti preoccupa un po' di meno, rispetto alla prospettiva di essere l'unico ad andarsene tra il disinteresse generale. L'importante era solo riuscire a raggiungerla, prima che fosse troppo tardi.

Aveva covato dentro le parole giuste da dirle per quasi un anno, e adesso, poco prima che tutto finisse sul serio, voleva che lei sapesse. Romantico no? Dichiararsi all'amore della vita proprio nell'istante prima che un meteorite si porti via non solo lui e i suoi sentimenti, ma anche lei e il suo stupore e altri sei miliardi circa di persone. Per qualche giorno si era sentito patetico, soltanto a pensarci. Aveva rinunciato.
Alcuni suoi amici avevano deciso di aspettare la fine insieme, a casa di un tizio che Paolo conosceva di vista. Grandiso, aveva pensato. Il mondo finisce, e io me ne rimarrò seduto sul divano di un perfetto sconosciuto a bere birra. Sempre meglio però dell'alternativa: andare in chiesa con la famiglia, a pregare per le proprie anime. La madre di Paolo aveva ritrovato la fede sulla via di Damasco, e aveva costretto il marito e Claudia, la sorella più piccola, a partecipare a uno di quei gruppi preghiera che erano stati organizzati per l'occasione. Morire pregando un dio che si permetteva di cancellare in un colpo solo l'intera prole? Naaaa...
Poi, proprio mentre se ne stava seduto sul maledetto divano, aveva guardato fuori dalla finestra, e aveva deciso di andare da lei. Destinazione Torino, in poco meno di un'ora.

Pensava a queste cose, mentre correva tra le macchine abbandonate. Correva con tutta la forza che aveva in corpo, con la pioggia fine che gli graffiava il volto.
Pensava a quando l'aveva conosciuta alla festa di Maurizio: seduti sul divano avevano discusso su quali birre fossero migliori, se le danesi o le italiane.
Pensava a quando l'aveva rivista in aula studio, quella volta che lei gli aveva tenuto il posto e lui le aveva comprato una rosa bianca.
Pensava a quella volta che si erano quasi baciati sotto la statua col cavallo, ma poi un telefonino aveva suonato.
E pensava al film che aveva in testa da quando era partito. Lui che la chiamava per nome. Lei che si voltava, in silenzio. Lui che le metteva una mano sul viso, lei che provava a dire qualcosa e lui che la faceva tacere con un bacio che neanche nel migliore dei film d'amore. Il tutto ovviamente a rallentatore, mentre intorno il mondo cominciava a esplodere.

Arrivò davanti a casa di lei schivando diverse persone, nell'ultimo tratto. Il centro era un vero e proprio casino, c'era anarchia totale, come prevedibile. Il portone era aperto, nel cortile c'erano centinaia di persone che guardavano verso l'alto, incuranti della pioggia. Qualcuno piangeva, qualcuno teneva la propria mano in quella di qualcun'altro.
Mancavano pochissimi minuti allo schianto. Si fece spazio tra la folla, si mise a urlare il suo nome.
Ma non la trovava da nessuna parte. Eppure doveva essere li, lo sapeva. Lei gli aveva detto che avrebbe aspettato la fine in quel cortile, con le sue amiche.
Il telefoninò suonò. Era lei. Rispose

Dove sei?!

La domanda gli uscì come una minaccia, senza aspettare che lei gli dicesse nulla. Aveva il fiatone, i secondi passavano inesorabili, aveva bisogno di vederla, o avrebbe vagato all'inferno per l'eternità con quel peso. Un inferno particolarmente affollato, tra l'altro.

Sentì la risposta proprio mentre la terra cominciava a tremare, la gente a urlare. una fortissima esplosione squarciò il cielo, il palazzo di fronte crollò sommergendo gran parte dei presenti.

A casa tua

Una seconda esplosione, più forte della precedente, fece volare in aria diverse persone sulla strada di fronte, mentre zampilli di lava uscivano dai tombini come acqua dopo un tremendo temporale. La terra tremava come all'interno di un frullatore.

A casa tua. A casa tua. Questa frase gli rimbombò nella testa, per gli ultimi istanti in cui rimase vivo. Un sorriso, sul suo volto. Un sorriso amaro.
Lasciò cadere a terra il telefonino. Poi, il buio

mercoledì 7 maggio 2008

Amica


La mia amica Laura ha coraggio da vendere, lei. Non come me. L'ho vista piangere una sera; seduta (anzi, rannicchiata) sul divano, aveva un fazzoletto di fronte agli occhi lucidi, come se non volesse disturbare nessuno. I singhiozzi silenziosi attiravano la mia attenzione, ma quando lei se ne accorgeva, sorrideva a una battuta proveniente dal film che c'era in televisione. Massima ammirazione.

Poi

Poi si è rimboccata le maniche e ha preso la sua vita in mano. Ha ricominciato a studiare, ridere, vivere. Non ha dimenticato il suo assurdo amore, dopo più di tre mesi, ma l'ha covato nella parte più profonda del suo animo. Non ha disturbato nessuno, non ha imposto la propria sofferenza come un macigno su chiunque la circondi.
Certo, il cuore le rimbomba ancora come un pazzo, e puoi sentirlo davvero, quando passa in quella strada dove lui va a lezione, vorrei ben vedere. E sarà così ancora per molto tempo, lo sa e non ne ha paura. Sa di esserne ancora innamorata, tanto.
Ma poi si siede nel banco in fondo e si butta con tutta se stessa nella realizzazione del suo sogno.

La mia amica Laura mi ha insegnato tante cose, nonostante sia più piccola di me. Mi ha insegnato che nulla accade per caso, che tutto ha un significato. Anche la sofferenza di oggi, un giorno avrà una spiegazione. La mia amica Laura mi ha insegnato che a volte staccare la spina, sedersi e respirare a fondo, serve molto più che insistere a martellare sulla pietra più dura.
Mi ha insegnato che non tutto il male vien per nuocere, e che esseri meravigliosi come noi che vivono quasi esclusivamente con il cuore, alla fine vengono sempre premiati.
Ma, soprattutto, mi ha insegnato a volermi bene.

Quindi grazie, amica.