
È un po’ che non scrivo nulla. No, non sono morto, anche se forse mi darebbe un tocco di cinismo, affermare senza alcuna ombra di dubbio che probabilmente in parte lo sono. Guardo un film senza voglia, mi vengono in mente diverse frasi scollegate tra loro, ma forse se scavo in fondo al mio inconscio, un senso lo trovo.
Il battaglione, tiene il passo del soldato più lento.
Mi immagino ad una di quelle feste, quelle che si vedono sempre nei film americani: sono un vampiro, un cazzo di vampiro maledetto che si nutre delle emozioni degli altri: la vedo nell’altra stanza, fasciata nel suo vestito rosso, che parla senza voglia con due idioti che sicuramente non hanno meno voglia di me, di scoparsela. Lo sguardo di lei è magnetico, la principessa non ha ancora trovato un principe che la salvi dai due stronzi. Forse le serve un vampiro.
Inutile, come la birra senz’alcool.
Un vampiro non si butta nella mischia, aspetta le sue prede dietro un angolo buio. Due collegiali che non sfigurerebbero sulla copertina di una rivista scandalistica, si baciano appoggiate alla parete. Il sogno americano continua, uno dei due stronzi è andato a prenderle da bere. Non gli basta essere inutile, anche banale. Penso alle raccomandazioni che sua madre di sicuro gli ha fatto, prima che uscisse: non prendere droghe, non bere troppo, torna presto. Saluto con un cenno della testa un’amica d’infanzia, la cui mano termina con la mano del suo di sempre ragazzo. Dovrei invidiare un certo tipo di felicità che sta nella sicurezza della reciprocità, ma questa sera sono un vampiro che ha bisogno soltanto di succhiare emozioni altrui, prima di morire irrimediabilmente di fame.
Avvicino la principessa fasciata in rosso, ignoro lo stronzo che sta proponendo di mostrarle la sua collezione di farfalle. Mio dio, gli stereotipi esistono ancora. La prendo per mano, e la conduco lontano. Lo stronzo alle mie spalle rimane con la bocca semi-aperta, mentre il suo amico ritorna con un bicchiere di troppo, ormai.
Voglio cambiare la mia materia preferita.
Parlo poco alla principessa, mentre si chiede dove mi ha già visto prima. Nella mia mente si alternano le immagini: potrei portarla fuori per un cappuccino, per lasciarla poi col conto da pagare, oppure andare a casa e masturbarmi, pensando a lei. Certo, c’è sempre l’ipotesi che sia talmente fatta da farsi una canna e accettare di venire a letto con me, ma preferisco lasciar fuori quest’ipotesi dalla mia mente: amo le sorprese di questo tipo.
Le matricole non si fanno mai, le overdose: il primo anno si passa sempre per stronzi.
La principessa mi segue in camera, le faccio sentire un paio di dischi, mento dicendole che penso a lei, quando le ascolto da solo. Lei si commuove alle lacrime, mi accarezza una mano seduta, a piedi nudi, sul mio letto. Mi bacia, con le lacrime agli occhi. Le asciugo via, per solidarietà, chiedendomi di che colore possano essere le mutande, sotto un vestito rosso. Ci tengo, a certe cose.
Quand’è l’ultima volta che ho scopato da sobrio?
Mi sveglio. Solo, nel mio letto. Non sono morto, anche se forse mi darebbe un tocco di cinismo, affermare senza alcuna ombra di dubbio che probabilmente in parte lo sono.