martedì 3 febbraio 2009

Playlist


Tutte le mattine era la stessa storia: mia madre mi lasciava di fronte al cancello della scuola, mi dava un bacio e mi diceva di fare il bravo. Scendevo dall’auto, attraversavo la strada e mi appoggiavo al muretto che circondava il cortile; ipod nelle orecchie fumavo lentamente una sigaretta, guardando senza interesse quelle del primo anno che filavano dentro come pecore, puntuali come orologi svizzeri. Era un modo come un altro per godermi qualche minuto di solitudine, prima della routine quotidiana: un modo come un altro di sentirmi bene con me stesso.
Da qualche tempo a questa parte avevo composto una playlist particolare per questo momento, sul mio lettore mp3: Valentina. Valentina era una ragazza del primo anno, conosciuta quasi per sbaglio mentre mi trascinavo nei corridoi studenteschi con qualcuno dei miei soci. Non saprei spiegare cosa mi avesse colpito maggiormente, se il suo modo di camminare o il suo modo di vestire del tutto casuale, oppure quel sorriso così sincero da far male.
Forse ad avermi colpito era proprio il fatto che non riuscivo a spiegarmelo; comunque me ne stavo li, tutte le mattine, ad aspettare per vederla passare, coperta da qualcosa come tre chili di lana tra sciarpe, guanti e berrette colorate.
Quella mattina ricordo che non l’avevo vista arrivare: la campanella era già suonata da qualche minuto e avevo pensato che se ne fosse stata a casa. Faceva particolarmente freddo e nelle mie orecchie suonava Jeff Buckley. Avevo finalmente deciso di entrare quando, voltandomi verso la strada l’avevo vista camminare lenta, con le mani in tasca e lo sguardo basso. Mi ero bloccato, quasi imbarazzato: in strada c’eravamo solo noi, e se mi fossi gettato nel cortile verso l’ingresso, lei avrebbe sicuramente pensato che fuggivo o qualcosa del genere. Tanto meglio rimanermene qua fermo, facendo finta di nulla, mi ero detto tra me, mentre la musica che avevo raccolto per lei mi riempiva le orecchie.
Era a tre metri da me, quando si era fermata. Aveva guardato la facciata del liceo, al di là del cortile, poi aveva puntato quegli occhi troppo grandi verso di me. Facevo finta di nulla, guardando la punta della sigaretta sfidare l’aria ghiacciata.
“Senti, ne hai una?” Mi aveva chiesto. Era la prima volta che sentivo la sua voce. Senza rispondere le avevo allungato il pacchetto; non riuscivo a guardarla negli occhi, sembrava fossi io il bambino e lei la vecchia ragazza navigata.
“Ormai è tardi, tanto vale fumarsene una”, aveva aggiunto poi. Aveva preso il pacchetto, mentre io le offrivo la mia sigaretta per accendere la sua.
Un minuto di silenzio, poi un altro. Si guardava attorno, fumando piano, seduta sul muretto con le gambe incrociate. Il suo corpo era a pochi centimetri dal mio, potevo sentirne il calore, e ogni parola sembrava troppo stupida e banale per essere pronunciata, come in quel film di Tarantino, in cui lei dice a lui che si capisce di aver trovato una persona veramente importante quando si riesce a stare in silenzio senza dover dire per forza una banalità per rompere l’imbarazzo.
“Che ascolti?” Mi aveva chiesto poi. Con la mano nascosta nella tasca avevo cambiato playlist, mettendo sul casuale.
“Niente di che, roba”, le avevo risposto. “Posso?” mi aveva chiesto poi, allungando una mano e fissandomi negli occhi. Senza dire nulla le avevo passato il lettore, per poi far finta di scrivere un sms col telefonino.
Aveva inforcato e cuffie, smanettato un po’ con la selezione, e poi aveva ascoltato chissà quale pezzo in silenzio, guardando il cielo coprirsi di qualche spessa nuvola.
Finita la sigaretta l’aveva buttata a terra, era saltata giù dal muretto, e mi aveva sorriso. Per la prima volta aveva sorriso a me.
“Grazie”, aveva sospirato, gettando fuori l’ultimo sbuffo di fumo. Aveva rimesso l’ipod nella mia tasca e mi aveva salutato con la mano, con uno sguardo malizioso.
Camminando piano, si era avviata verso l’ingresso, ma a metà cortile si era fermata, aveva indugiato per qualche secondo, poi si era voltata verso di me. Immobile, pochi attimi simili a un’eternità.
“Domani mi fai sentire le altre”.
Poi era sparita all’interno dell’edificio.
Avevo tirato fuori il lettore dalla tasca e l’avevo acceso. Playlist Valentina, canzone 1.

Tutte le mattine era la stessa storia. Ma non quella mattina. Quella mattina era iniziata una storia diversa.

3 commenti:

_nOiR ha detto...

"cara valentina, il tempo non fa il suo dovere e a volte peggiora le cose.."
Max Gazzè

che bella.. che bella.. che bella..

Matteo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Matteo ha detto...

una fase Peter Pan, amico?
A presto bello!!!