mercoledì 28 giugno 2006

Placebo & Positivismo


Ieri sera concerto dei Placebo. Ricordo quando li ho conosciuti, Bryan Molko e soci: era forse il ginnasio, il mio amico Pietro mi ha prestato, forse con lo scopo di convincermi a mutare le mie preferenze musicali (ascoltavo infatti 883 e tunz tunz discotecara) i primi due album della band inglese: Placebo e Without you I'm nothing. Devo dire la verità: non li ho nemmeno ascoltati, allora. Anni dopo invece il primo concerto, il viaggio interminabile fino a Pordenone (città da non commentare) con gli amici di sempre: il resto è storia. Grazie quindi proprio a quegli amici, che mi hanno aperto "con la forza" un mondo al quale non posso più rinunciare, oggi come oggi: è paradossale quanto io sia diverso rispetto ad allora, grazie soprattutto alla musica e ai libri, ma nel contempo io rimanga un quattordicenne sempre e comunque.

Non è questo comunque l'argomento del post, ma più che altro una considerazione venutami in mente non più di due giorni fa, sviluppando la nuova "Teoria del positivismo sempreecomunque", di Domenico Spagnolo in arte Cico: ogni cosa brutta che succede nel quotidiano, può essere vista come l'unico modo possibile che la vita aveva per evitarci un male peggiore.
Buchi una ruota, devi fermarti per cambiarla, magari sotto un acquazzone: bestemmi, ti incazzi contro il fluire cosmico degli eventi... In realtà ti sei appena salvato da un incidente mortale, visto che 25 km più avanti un tizio non avrebbe rispettato lo stop, e ti avrebbe accarezzato con il radiatore le tempie. Ad esempio. La teoria prevede vari livelli di "salvaguardia" della natura rispetto all'individuo, a seconda della gravità degli eventi successivi, ma anche riguardo il fattore temporale: ad esempio, la tua ragazza ti lascia e si mette con un camionista polacco, il cui bicipite ricorda il tuo torace. Soffri e stai male come un cane, perchè l'amavi; in realtà ti sei salvato, perchè l'avresti sposata, avreste avuto un figlio, il quale a sedici anni dopo un colpo di sole avrebbe ucciso con una mazza da baseball (regalatagli per il suo quindicesimo compleanno) te e la stronza che ti ha appena lasciato.
Quindi, la prossima volta che un piccione ti lascia un ricordino sul vestito nuovo, mentre vai a un importante appuntamento di lavoro, e ti devi fermare a una fontanella per pulirti, o tornare addirittura a casa per cambiarti... Non ti lamentare: ti hanno appena salvato la vita.

mercoledì 21 giugno 2006

What's my age again?


Non era una gran canzone, a pensarci bene, What's my age again dei Blink 182.
Erano tre americani provenienti da chissà quale underground, rivestiti da tonellate di auto-ironia e voglia di scopare (scusate il termine oxfordiano): melodie composte da al massimo tre (riuscitissimi, percarità) accordi, testi raccolti a bracciate nell'immaginario pre-adolescenziale.
Avrei dovuto odiarli, quelli li. Invece no; una frase di quella canzone mi torna tuttora alla mente, come un monito proveniente da un passato che non mi appartiene: Nobody likes you, when you are 23.
A diciotto anni ti sembra semplicemente una frase ad effetto, urlata al mondo da uno poco più vecchio di te che probabilmente non ci crede nemmeno molto: che problemi vuoi che abbia a piacere uno che vende dischi e butta i soldi da un areoplano in un video. Anzi, cominci forse a credere che è proprio su quello che dovrai battere, in futuro: dovrai darti l'aria di uno sfigato, sempre a metà tra il triste e il misterioso: conquisterai non compassione, bensì ammirazione.
Arrivi poi all'età descritta dalla canzone: tutto sembra andar discretamente bene, hai un numero sufficiente di amici, una persona da amare che risponde con la stessa moneta, ambizioni e prospettive nella media. Non è vero, pensi, che non piaci a nessuno.
Poi succede che le certezze diventano dubbi: le persone amano complicarsi la vita, lo sapevi, ma fino a questo punto?


Il lavoro poi, il lavoro... la scuola e il lavoro


Ma si, certe cose si rimarginano, ci vuole solo del tempo.


Guardali, ti fissano, ti giudicano male, ti sottovalutano, non ti stimano...


A breve le cose cambieranno, i sogni non soni irrealizzabili, puoi fare quello che vuoi. Cazzo, hai poi solo 23 anni...


Nobody likes you when you are 23, ricordi?


Ecco. Cominci a pensare che sia vero. Non è autolesionismo, cercare compassione o trovare scuse. Non piaci a nessuno quando hai 23, 24, 25 anni: non ti danno possibilità, non vogliono sentirti parlare, perchè sei troppo giovane per capire certe cose. Te ne rendi conto solo dai ventitrè anni di certe cose, e poi quando ne avrai circa ventotto\trenta, certe cose non le penserai più: in silenzio ti inserirai in quella società che non ti voleva, e zitto seguirai la scia.


A trent'anni però. A 23, 24, 25, cerca di ribellarti, maledizione. Nobody likes you when you are twenty-three, semplicemente perchè non ti piace come sono diventati loro, ecco perchè.

Sei confuso, forse, questo post lo dimostra.

martedì 13 giugno 2006

Time is running out


L'uomo ha creato il tempo per paura della morte: classificando infatti ogni attimo, anche il più impercettibile, in oreminutisecondi, ha la possibilità di avere un certo controllo sulla vita che passa, sulle azioni che si susseguono. So ad esempio che tra 14 minuti esatti andrò a studiare, so che tra sei ore circa mangerò cena, che tra due giorni ho un esame, che tra un mesetto andrò in vacanza, che tra una cinquantina d'anni dovrei morire. Da sicurezza tutto questo.
Però l'uomo ha fallito. Infatti proprio questa necessità di sminuzzare la vita in piccolissime porzioni di esistenza da catalogare ha creato la morte e la fine di tutto, e più ci penso meno mi capacito di come abbiamo fatto ad essere così stupidi... Sono gli anni che passano, non noi: abbiamo posto un timer all'esistenza, razionale e necessario forse, ma pur sempre auto-imposto.
Perchè dico ciò? Perchè in Africa, dove il tempo non esiste, dove nessuno ricorda quando è nato, la vita non finisce mai: ecco che la morte non è più il fermarsi di un orologio, oppure l'esplosione dopo il countdown.
Il mio amico Samba giura che un suo parente, in Senegal, vive da sempre, da prima ancora che i nonni dei nonni dei miei nonni venissero al mondo. E io gli credo.

martedì 6 giugno 2006

Epitaffio


Chi non ha pensato almeno una volta alla propria morte? A me capita di continuo. Vedo la mia anima che se ne sta ben comoda sdraiata su una nuvoletta, mentre amici e parenti si chiedono come sia stato possibile. Le comari lo ripetono tra se e se, scuotendo la testa: "Così giovane, forse si drogava". Mia madre, poveretta, come se non avesse già abbastanza problemi, prepara il funerale, guardando di tanto in tanto le foto di quando ero piccolo. Mi sento un po' merda, a quel punto, dalla mia nuvoletta, ma la sensazione svanisce all'istante, quando vedo tutta la gente che è venuta per darmi l'estremo saluto. Ma quanti siete? Cavoli ci sono gli amici delle elementari: parlano come se io fossi una parte di loro che se n'è andata... Ma dove cazzo eravate in questi anni, quando il venerdì sera non sapevo cosa fare, e vi chiamavo ma avevate altri impegni? Guarda, c'è anche la mia prima ragazza, la prima a cui io abbia detto ti amo; piange, poggiando la spalla su una che potrebbe essere sua madre. Anche tu però... dove, dove accidenti eri!? Quando ero disperato e volevo rivederti, quando ho provato a chiamarti per un caffè e mi hai detto che non era il caso... Però ecco arrivare, uno dopo l'altro, i miei amici... Hanno dimenticato i piccoli screzi, per un giorno si abbracciano, si salutano, sorridono appena senza saper cosa dire. Guarda, ci sono tutti, c'è perfino quella mia compagna del liceo, che non mi ha mai parlato in cinque anni: se ne sta un po' in disparte, continua a non parlare con nessuno, però c'è. Comincio, sulla mia nuvoletta, ad essere triste. Ci sono i miei parenti più lontani, guarda! Non li ho mai chiamati per natale, per i compleanni, per sapere come stava la zia o come era andato l'esame. Ci sono tutti, abbracciano mio fratello e mia madre, e poi silenziosi si siedono a metà della chiesa. E le mie amiche, quelle che da nemmeno due mesi ho conosciuto in quel locale... Ma stanno piangendo anche loro! C'è anche quella ragazza, a cui non ho avuto il tempo di dire quello che provavo... Sulla mia nuvoletta, mi vengono le lacrime agli occhi. Sembrava il massimo, il giorno del mio funerale: protagonsita per un giorno. Però al tramonto sarò soltanto più un ricordo. Maledetto il giorno del mio funerale.