mercoledì 24 ottobre 2007

Nemesi


Non era la pioggia il problema, anche se era fermo sul lato opposto della strada da qualche minuto ormai, e la giacca grigia di Ck era scurita dalle spesse goccie e i capelli incominciavano a incollarsi in grosse ciocche alla fronte. La solita massa umana lo schivava infastidita, guardandolo come se fosse un extraterrestre caduto chissà quando dal cielo, resosi appena conto della cosa. Solo l'aver dimenticato l'ombrello sull'astronave sembrava infastidire la gente della Città.
L'uomo fissava qualcosa sul lato opposto della strada, come detto: uscendo di casa quel mattino non aveva immaginato di poter perdere l'appuntamento con il cliente, ma non era nemmeno quello il problema. Sicuramente quello l'avrebbe aspettato per un po', seduto al bancone dell'Hilton, sorseggiando Martini a ripetizione, per poi andarsene, e la sua azienda avrebbe perso l'affare da settecentonovanta milioni. Ma no, non era questo il problema. Le dita della mano destra, sulle quali si incastonavano grosse perle d'acqua, stringevano forte la ventiquattrore, anche se avrebbe preferito di gran lunga lasciarla cadere a terra e correre via. Ma non riusciva a scostare nemmeno lo sguardo, figuriamoci i muscoli necessari a muovere un dito. Sapeva (l'aveva letto su diverse riviste specializzate) che la paralisi di ogni arto era il primo sintomo: una paralisi mentale, non fisica: forse avrebbe potuto, credendo di più in se stesso, sciogliere le membra e cercare una flebile opposizione, ma non ne era capace.
Si ricordò cosa sarebbe successo di li a poco: avrebbe sentito un calore sempre maggiore crescere dalle viscere, seguito dal classico formicolio agli arti inferiori; la fase tre sarebbe consistita in un progressivo annebbiamento della vista, fino alla quasi totale cecità. Da qui in poi si sprecavano le ipotesi, nessuno era mai riuscito a raccontare il seguito: ma non era questo il problema, non era questo che lo preoccupava.
Il problema era che non era riuscito a dirle che l'amava. L'avrebbe fatto quella sera stessa, dopo lavoro. Avrebbe messo il suo vestito nuovo, comprato per l'occasione, e l'avrebbe portata nel nuovo locale sulla sedicesima, gestito da chissà quale attore di successo. C'era solitamente una lista d'attesa di mesi, ma lui era riuscito a prenotare un tavolo. Il ristorante giusto, la musica e l'atmosfera giusta: lei non avrebbe potuto nè voluto resistergli. Era ormai da tempo un uomo di successo, il rifiuto non era concepito nel suo vocabolario. No, lei avrebbe ricambiato, era già tutto accaduto decine di volte all'interno del film nella sua testa.
Ma sarebbe rimasto solamente un vezzo mentale, la Nemesi lo aveva trovato prima. Cominciò a sentire il calore che gli avvolgeva lo stomaco, proprio mentre si rendeva conto che mai lei avrebbe saputo ciò che lui provava per lei, che l'amava dal primo momento in cui l'aveva incontrata alla tavola calda. Era da sola, quel giorno, seduta a un tavolino di fronte al suo leggeva un libro di un autore ventunenne suicida russo. Aveva i capelli disordinatamente tenuti insieme da una pinza, gli occhiali con una montatura rossa e si mordeva un labbro mentre sfogliava le pagine, una dopo l'altra. Aveva un'espressione seria, e lui aveva da subito adorato come lei beveva il suo frullato senza smettere di leggere nemmeno per un secondo.
Era ormai zuppo dalla testa ai piedi, non sentiva freddo, però: gli organi interni bruciavano letteralmente, avrebbe vomitato la colazione in mezzo alla strada, se solo gli fosse stato possibile.
Erano usciti a cena due o tre volte, dopo quel giorno alla tavola calda: lui era letteralmente partito, affascinato da come lei parlava con disinvoltura di arte, cinema, musica, senza però ostentare alcun tipo di saccenza o presunzione. Non si erano ancora mai baciati, manco a dirlo, e adesso sapeva che mai sarebbe successo. Il formicolio alle gambe iniziò a fargli mancare il terreno da sotto i piedi proprio mentre un tizio al cellulare gli dava una spallata, imprecando. Da sempre fastidio un uomo che se ne sta in mezzo al marciapiede, mentre fissa un punto lontano.
Quando la vista cominciò ad annebbiarsi, ricordò per qualche secondo l'ultima volta che l'aveva vista.
Era bellissima. L'aveva invitato a pranzo da lei, la domenica precedente: gli aveva aperto la porta con un maglione di diverse misure più grande e un paio di jeans, poi si era seduta su una poltrona con le gambe accavallate, aveva versato due bicchieri di vino rosso e avevano mangiato e parlato e lei era così fragile e piccola che lui avrebbe voluto chiederle di sposarlo, di avere un figlio insieme, e avrebbe voluto giurarle che l'avrebbe protetta e amata per sempre, che si sarebbe preso cura di lei e che non avrebbe mai avuto bisogno di lavorare o preoccuparsi di nulla.
Però non era riuscito. E quando era giunto il momento di andare, c'era stato quel momento di imbarazzo in cui lei apre la porta e rimane sulla soglia, quindi lui si deve schiacciare contro il muro per passare ma comunque la sfiora, e poi quando è fuori di avvicina per darle due baci sulle guance, ma in realtà è un'altro il bacio che vorrebbe chiederle, e lei sa perfettamente che cosa potrebbe succedere, e c'è elettricità nell'aria, e lei se ne sta lì con le braccia a metà tra un abbraccio e qualcosa di più, e lui alla fine non ce la fa, la bacia sulle guance e si rende conto che lei aveva chiuso gli occhi, oppure gli era solo sembrato, e poi se ne va mangiandosi le mani, e vorrebbe voltarsi, ma troppo tardi, perchè ha già sentito chiudersi la porta alle sue spalle.
Avrebbe voluto piangere, ma si rendeva conto che dopo la cecità, sopraggiunta da poco, se ne erano andati uno dopo l'altro anche gli altri sensi. Mentre il respiro affievoliva, tornò per un secondo di fronte alla porta di lei, convincendo il ricordo a compiere quel qualcosa che non avrebbe potuto

Nell'esatto istante in cui il suo cuore smise di battere, la Nemesi era entrata nel suo corpo, invisibile a tutti: nessuno si era reso conto che quella persona, zuppa di pioggia fino al midollo, era morta e che il suo corpo era ora posseduto da un ospite: il tutto era durato pochi minuti. E, così come si era improvvisamente fermato poco prima, tanto improvvisamente l'uomo ricominciò a camminare.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

wow...nn so dire altro...ciri

la rochelle ha detto...

pure io non ho niente da aggiungere: splendido

Anonimo ha detto...

e bravo il mio cicuz....
:) pippi ti abbraccia forte forte...

Anonimo ha detto...

grazie. altrettanto.decisamentefantastico. ti sorrido!