martedì 22 aprile 2008

Incontro


L'uomo è seduto su una panchina di pietra, una di quelle che circondano la piazza.
Avrà 50, forse 60 anni, è grande e grosso. Ha una camicia che potrebbe coprire un'utilitaria in caso di pioggia, se volesse; un paio di enormi pantaloni scuri e due canoe al posto delle scarpe.
Mi correggo, non è seduto su quella panchina: ci è crollato letteralmente sopra, qualche minuto fa, e non si è più mosso. Singhiozza come singhiozzano i bambini di cinque anni a cui hanno portato via il lecca lecca. Il volto rotondo è ricoperto da una folta barba grigia, che si sta inzuppando delle lacrime che gli sgorgano dagli occhi, come un fiume che straripa dopo giorni di pioggia.
Tra le mani ha un foglio di carta, mezzo piegato e stropicciato.

Io sto passando proprio in quel momento. Il vuoto che ho dentro è in parte colmato dalla musica di De Adrè. Lui mi capisce, lui ha provato le stesse cose che provo io, le ha elaborate e trasformate in poesia. Sicuramente lo invidio per questo.
Una vocina nella testa mi stuzzica: "Hai sempre voluto essere triste e coraggioso come lui. Bene, ora che lo sei, non ti lamentare".
Incrocio lo sguardo dell'omone. Non cerca conforto, a differenza di me. Passo oltre, facendo finta di nulla, ma quegli occhi grandi e lucidi mi hanno aperto una voragine dentro.
Mi volto, lo guardo. Ha abbassato gli occhi, legge qualcosa.
Torno indietro, mi siedo vicino a lui, tolgo un'auricolare che suona Hotel Supramonte.
Non so cosa sto facendo, ma sto fermo li a guardarlo, seduto a pochi centimetri: il suo grosso torace si gonfia ad ogni respiro, ho la sensazione che possa esplodere da un momento all'altro.

Ma non succede. Anzi, si calma quasi, e il pianto diventa leggero, quasi impercettibile. Poi parla.

Ho perso una figlia, l'ho persa senza averla mai vista. Lei, la mia ragazza, era incinta, quando se n'è andata da me, per tornare al suo paese. In Argentina. Non me l'aveva detto e non potevo saperlo. Poi mi ha scritto anni dopo, dicendo che era felice, perchè aveva Paula. Mia figlia. Mi ha detto che dovevo andare a trovarle. Io non l'ho mai fatto, perchè l'odiavo per avermi lasciato qui solo, senza spiegazioni. Non le ho nemmeno risposto alla lettera.

Non lo interrompo, vorrei alzarmi per andarmene anzi. Ma rimango seduto, come impetrito.

Sono sempre rimasto solo, da quel giorno. Non sapevo se odiarmi o odiarla, se amarmi o amarla. Ho deciso di non scegliere, e ho vissuto senza vivere. Sono passati quasi vent'anni, lei mi ha telefonato e mi ha detto che Paula si sarebbe sposata. Le ho detto di lasciarmi stare, come uno stupido orso. Non ho perdonato, nemmeno così tanto tempo dopo, perchè? Perchè sono uno stupido, uno stupido orso.
Ora mia figlia ha avuto un incidente, e l'ho persa senza mai vederla.


Cazzo, penso. Dovrei trovare in fretta qualcosa da dire. Ma non riesco a dire nulla.
Lui mi guarda, per la prima volta da quando mi son seduto qui.
"Cosa ascolti?" mi chiede. De Andrè rispondo io. Gli porgo un'auricolare. Rimini sta suonando, in quel momento. Fa sparire la cuffia nella sua enorme mano, e l'avvicina all'orecchio.
Ascoltiamo insieme, senza parlare. Guardo la gente che passa: c'è chi ride, chi urla, chi parla, chi bacia e chi litiga al telefono.
Quest'uomo enorme, le sue lacrime, la sua storia... stanno risucchiando via il mio dolore. So che tornerà, tra quelche istante, ma per ora no. Si è fatto carico di tutta la mia sofferenza, condividendo con me la sua.

Finita la canzone mi restituisce l'auricolare. Mi ringrazia e si alza. E cammina verso una via laterale, che imbocca senza voltarsi.
Io rimango seduto ancora per qualche minuto. Vorrei correre a casa di lei, per abbracciarla. Ma rimango seduto, con la musica nell'unica auricolare che mi rimane.

E ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome
ora il tempo è un signore distratto è un bambino che dorme
ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano
cosa importa se sono caduto se sono lontano
perché domani sarà un giorno lungo e senza parole
perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole
ma dov'è finito il tuo cuore, ma dov'è finito il tuo cuore.

6 commenti:

fRa_gAv ha detto...

Mi fai sempre i complimenti, ma io quanti te ne dovrei fare?

Bravo Cico.

Frasita ha detto...

Ehi..ieri sera sono stata un po'come quell'uomo...sei davvero una delle persone più sensibili e profonde che conosca! Grazie.
Francesca

Anonimo ha detto...

grazie...punto nn ce altro da aggiungere...grazie cico...ciri

Anonimo ha detto...

Doc mi commuovi quasi, sei il numero uno! Sonny

Anonimo ha detto...

lacrime...
delicatezza e sensibilità

Anonimo ha detto...

magia di DeAndrè e magia di Torino.. quale connubio meglio riuscito?
forse quello fra te e la Letteratura.
coraggio. Resistere,resistere,resistere.
:)