giovedì 26 giugno 2008

Paprika!


C’era una volta una bambina allegra e vivace, che viveva soltanto nei sogni altrui. Nessuno sapeva con certezza quando era nata, e chi erano i suoi genitori: alcuni sostenevano che lei esistesse già prima dell’invenzione del telefono, o della luce elettrica, mentre altri erano convinti che lei fosse nata ancor prima della scoperta del fuoco. Ma, alla fine, non era questo l’importante: Paprika (questo era il suo nome), esisteva da sempre, fin da quando c’era memoria, e il suo unico piacere era quello di viaggiare attraverso i sogni della gente triste, per poter regalare loro un piccolo ma preziosissimo momento di gioia.
Se un bambino si addormentava con le lacrime agli occhi, perché voleva semplicemente stare alzato fino a tardi, per finire di vedere il cartone animato preferito, Paprika entrava nel suo sogno profondo, lo prendeva per mano e lo conduceva attraverso una fantastica avventura, piena di animali fantastici, folletti e fate. Se invece Paprika s’insinuava nel sonno di un ragazzo innamorato ma non corrisposto, poteva trasformarsi in una giovane orientale, dagli occhi grandi e profondi: seduti di fronte al tramonto del Taj Mahal, lei gli sussurrava parole dolci all’orecchio destro, accarezzandogli i capelli e tenendogli la mano. Ogni tanto la piccola Paprika amava prendersi cura anche del sonno di qualche dolce nonnino, rimasto ormai solo: gli faceva vivere nuovamente tutte le avventure passate, incontrare amori giovanili, riassaporare momenti ormai sommersi dall’oblio.

C’era una volta un bambino di nome Orfeo. Anche lui non era un bambino come tutti gli altri, anche se non aveva speciali poteri come quelli di Paprika. Orfeo era un bambino solo: preferiva immergersi in un mondo fantastico da lui creato, piuttosto che giocare a palla con gli amichetti nel parco. Sapeva perfettamente a memoria i nomi dei sette regni che componevano Helroch, il suo impero immaginario: lui era il Re assoluto, tutti i sudditi lo amavano e gli erano riconoscenti per la sua grandezza e saggezza. Spesso a scuola veniva deriso e canzonato dai compagni di classe, per il suo bizzarro modo di vestire, ma a lui non importava. Era timido con le bambine: se una ragazza lo guardava negli occhi, lui era costretto da una morsa nello stomaco a tuffare lo sguardo nel quaderno sul quale disegnava piccole vedute di Helroch.
Non era mai stato un grande problema, questo, fino a quando non si era innamorato di Sofia. Sofia era una bambina che frequentava la sua stessa classe, e sedeva pochi banchi più indietro. Orfeo non aveva molti amici, quindi durante l’intervallo spesso se ne stava seduto in classe, appoggiato alla finestra, a guardare fuori. Un giorno Sofia gli si era avvicinata e gli aveva chiesto cosa guardasse. Era bellissima: averla così vicina aumentava la sua temperatura corporea; le parole, già poche solitamente, erano tutte bloccate in fondo al cuore. Sapeva che avrebbe dovuto rispondere qualcosa di intelligente, ma non era uscito nulla. Era rimasto impietrito, a guardare fuori, senza dire nulla. Lei, dopo pochi istanti, se ne era andata, con una impercettibile ma quanto mai significativa alzata di spalle.
Non era riuscito a togliersi quella scena dalla testa per tutto il giorno; dopo non aver toccato quasi nulla per cena, si era messo a letto. Sapeva di dover raggiungere i suoi sudditi a Helroch, ma quella notte, per la prima volta, si era addormentato col pensiero straziante di Sofia che rideva di lui, alle sue spalle, con le altre ragazzine della scuola.
E fu proprio quella notte che conobbe per la prima volta Paprika.

Paprika non riusciva a capire cosa non andasse in quel ragazzino, ma sentiva che era davvero triste. Qualcosa di grosso doveva essergli successo: aveva deciso di entrare nel suo sogno, per mettere le cose a posto e fargli dimenticare le proprie pene, facendogli vivere un’avventura mai vista prima.
Ma con suo grande stupore, appena entrata nel sogno di Orfeo, si era resa conto di che meraviglia ci fosse: nella mente di quel ragazzino esisteva un mondo meraviglioso, abitato da centinaia di personaggi uno diverso dall’altro. Sulla sommità di una collina erbosa si ergeva un enorme castello dalle mura bianche come l’avorio e le porte e finestre erano completamente dorate. Paprika si era avvicinata con cautela all’enorme ponte levatoio, quasi in punta di piedi sull’erba fresca. Due guardie sorridenti erano in piedi, di fronte all’ingresso, ma si erano fatte da parte con un inchino per permetterle di entrare.
Aveva percorso i lunghi corridoi guardandosi attorno con stupore: ma come poteva tutto questo essere frutto della fantasia di un solo bambino? Dopo diversi minuti, era riuscita ad arrivare alla sala principale del castello: il pavimento di marmo bianco era ricoperto da un enorme tappeto rosso, e appese alle colonne e alle pareti vi erano arazzi ricamati d’oro, argento e pietre preziose. Al centro dell’enorme sala, seduto su un trono intarsiato con scene di battaglia e mitologici scontri tra divinità, vi era Orfeo, avvolto in un mantello color porpora e con un’enorme corona rotonda sul capo. Aveva l’espressione triste, lo sguardo basso, e non si era nemmeno accorto della presenza di Paprika al suo cospetto.
“Maestà”, aveva deto lei, mimando un inchino, “Ho percorso centinaia di miglia per venire qui, a parlare con Voi, spero abbiate la cortesia di ricevermi”. Paprika non sapeva bene come comportarsi: solitamente era lei a reggere le fila del gioco, a creare le situazioni in cui ambientare le situazioni giuste per risollevare i cuori feriti dei suoi ospiti. Invece, nella mente di questo ragazzino con lo sguardo triste, tutto era solidamente costruito, nulla poteva essere modificato.
Era rimasta per qualche secondo in silenzio: poi, dato che il Re non rispondeva, aveva urlato: “EHI!!!!”

Orfeo aveva letteralmente sobbalzato sul suo trono: chi era questa buffa e impertinente bambina che si presentava al suo cospetto, in Herloch? Non era sicuramente uno dei suoi sudditi abituali, dato che li conosceva tutti, uno per uno. Non ebbe nemmeno il tempo di riordinare le idee, che lei gli si era avvicinata, gli aveva dato uno schiaffo sulla testa, facendogli calare la corona sugli occhi, e gli aveva urlato: “Sveglia Sire, sveglia!! Il villaggio va a fuoco!!”
E così ebbe inizio il suo rapporto con Paprika: spensero l’incendio al villaggio, grazie all’aiuto della cavalleria reale, ma fu solo l’inizio. Dopo quella prima notte, infatti, ce ne furono molte altre, durante le quali Orfeo e Paprika vissero le avventure più pericolose, affascinati e meravigliose che si possano immaginare: sconfissero draghi, costruirono acquedotti, salvarono la Ninfa che abita il lago e respinsero più volte le armate della pericolosissima Strega Onirika.
Orfeo si sentiva meglio, non solo nei suoi sogni. Giorno dopo giorno, infatti, aveva acquistato, grazie all’aiuto di Paprika, molta sicurezza in se stesso, anche nella vita di tutti i giorni. Era diventato un ragazzo sempre meno timido; aveva addirittura cominciato ad avere amicizie con qualche compagno di classe, e non doveva più voltarsi dall’altra parte quando una ragazzina gli rivolgeva lo sguardo.
Gli anni passavano, e Paprika continuava a frequentare i suoi sogni: era la migliore cosa che potesse accadergli.

Ma come mai Paprika, che raramente frequentava i sogni di qualcuno per più di due o tre volte, si era stabilita ormai da moltissimo tempo in Herloch, con Orfeo? La risposta va ricercata nel fondo del cuore della bambina che viaggia nei sogni della gente: si stava innamorando, per la prima volta nella sua lunghissima vita. All’inizio gli era sembrato buffo, questo piccolo ragazzino con una corona più grande della sua testa: poi, col passare dei giorni, il fascino dell’impero sconfinato creato dall’immaginazione di un comunissimo essere umano le aveva inebriato i sensi, mentre cresceva l’interesse nei confronti di un bambino che si trasformava lentamente in uomo.
I loro giochi si erano fatti sempre più intensi, fino a quando, una notte, si erano baciati sotto la luce delle tre lune che si rincorrono nel cielo di Herloch.
Per la prima volta Paprika aveva sentito quello che le persone chiamano “battito del cuore”.
In poco tempo era diventata la regina del regno di Orfeo, e le cose erano andate bene per diverso tempo. Si sentiva felice, e aveva trascurato i sogni delle altre persone tristi, per godersi questa felicità inattesa, che si interrompeva soltanto quando, al mattino, Orfeo doveva svegliarsi per tornare alla sua vita reale. Tutto sembrava perfetto.
Poi, una notte, tutto era finito.

Erano passati anni, ormai, dal loro primo incontro. Orfeo non era più un ragazzino solo e timido: grazie all’aiuto di Paprika aveva superato molti dei suoi complessi. Adesso, quando una ragazzina gli rivolgeva lo sguardo, non sentiva più il bisogno impellente di scappare, ma rispondeva sicuro con un sorriso deciso. Le compagne di classe avevano smesso di prenderlo in giro, e qualcuna gli aveva addirittura scritto dediche romantiche sul diario.
Orfeo sapeva che tutto questo era merito di Paprika, ma come spesso vanno queste cose, la riconoscenza è un bene assai raro da rilevare.
Non aveva smesso di frequentare Herloch tutte le notti, ma il suo rapporto con Paprika lentamente stava cambiando.
Un giorno, finalmente, era riuscito a trovare il coraggio di invitare fuori Sofia, la sua vecchia compagna di classe, oltre che suo primo vero amore. Sofia aveva accettato, e dopo poco tempo i due si erano fidanzati.
Paprika pianse, lei che mai aveva pianto prima, e per la prima volta desiderò che qualcuno visitasse i suoi sogni, per renderli più belli. Ma lei stessa era sogno, e questo suo desiderio non poteva essere esaudito.
Smise di frequentare i sogni di Orfeo, ma non solo. Da quel giorno in avanti non andò più in visita delle persone tristi, per rallegrarli, ma cominciò a trasformare in incubi i sogni delle persone felici e innamorate. Da sogno, Paprika si era trasformata in incubo: un incubo con il piccolo cuore spezzato.

Per diverso tempo Paprika non aveva avuto notizie di Orfeo.
Una notte che la malinconia si era fatta però troppo forte, aveva deciso di tornare a Herloch.
Il paesaggio era davvero diverso da come lo ricordava: le mura del castello erano diroccate, ricoperte di erbacce e arbusti; il villaggio era abbandonato, i campi erano bruciati.
Non c’era anima viva in giro. Paprika aveva varcato l’ingresso, percorso i corridoi che un tempo erano stati sfarzosi e ricoperti di ricchezze, ma che ora erano devastati dal fuoco e dall’abbandono.
Quando finalmente era giunta alla stanza centrale del castello, con le lacrime agli occhi, si accorse che una piccola figura era seduta sul trono, con il capo appoggiato alle mani.
Si era asciugata gli occhi con un movimento della manina, poi aveva timidamente chiesto chi era.
Era Orfeo. Non era però lo stesso ragazzo sicuro di se e felice che lei ricordava: era tornato a essere quel bambino timido e triste di un tempo, quello che lei aveva conosciuto anni prima.
Orfeo aveva alzato il capo, era saltato giù dal grande trono e le era corso in contro scoppiando in un singhiozzo. Erano rimasti lì, immobili, per delle ore che avevano il sapore di minuti.

Orfeo aveva avuto un incidente, dopo che Sofia lo aveva lasciato. Da due anni era in coma, nel letto di un ospedale, durante i quali aveva vissuto sempre in Herloch, sperando che la sua regina tornasse. Ma lei non si era più fatta viva. Senza Paprika Orfeo non era in grado di governare, ormai: aveva trascurato i suoi sudditi e aveva addirittura permesso alla strega Onirika di conquistare gran parte dei regni. Adesso abitava da solo le fredde mura del castello, che aveva perso il suo antico splendore.
“Rimani con me, Paprika, ricostruiamolo insieme. E questa volta sarà per sempre”, le aveva detto, con le guance rigate dalle prime lacrime che era riuscito a piangere, dopo molto tempo.
“Soltanto se sarà davvero per sempre”.
Poi, si erano baciati. Nel suo letto d’ospedale Orfeo, per una frazione di secondo, aveva sorriso.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

la foto è bellissima...

e sn stata contenta che sn stata una delle prime persone a leggerlo..prima di metterlo sul blog...:)

Anonimo ha detto...

ehi ma così lo sai che finisce che mi illudo e mi illudo e mi illudo e mi illudo! smettila cico di scrivere così bene, dannazione!

Frasita ha detto...

Grandioso come sempre...non c'è altro da aggiungere!

Matteo ha detto...

Spero proprio che venga a trovare anche me, una volta o l'altra...

Anonimo ha detto...

Wow.
Travolgente. Nello stesso tempo fantasioso e crudelmente reale.

Anonimo ha detto...

Penso che il tuo blog stia diventando sempre più pesante e sempre meno interessante, questo perché tu scrivi quase sempre la stessa cosa, con parole diverse. Sembrano sempre una proiezione del tuo momento, ovvero, di buio. Mi sbaglio o tu sei una persona non molto allegra?
Non ci conosciamo.

Cico ha detto...

ognuno, quando scrive, rispecchia il proprio stato d'animo. no, non è un bel momento per me, e quindi quando scrivo, lo faccio anche per sfogare il marcio che ho dentro.
se non ti piace e lo trovi pesante, ci sono molti altri blog in giro, non sei costretto a leggere le mie "porcherie".

fRa_gAv ha detto...

Ricordate che chi scrive delle stesse cose con parole diverse scrive di fatto di cose diverse con le stesse parole.

Anonimo ha detto...

Wow..di solito la pigrizia di fronte ad un monitor tende a farci ignorare post lunghi più di dodici righe, ma debbo ammettere di essere stato magneticamente attratto da questo semplice e puro racconto. Complimenti per lo stile e per l'idea!

Anonimo ha detto...

Non hai del marcio dentro, hai un cuore, affetto da una grandissima tachicardia sentimentale, intendendo con questo aggettivo, "sentimentale", tutto ciò che è emozione. Mi fa paura tutto questo, perché so per certo che è qualcosa che ti ho trasmesso in qualche modo e dal quale nonsono mai uscita,nonostante il passare degli anni. Forse il tempo mi ha un po' contaminata e oggi sembro diversa... Ho paura che tu ti ritrovi spesso a soffrire, ma ti confesso che io non vorrei essere, nel mio profondo, diversa.