martedì 5 febbraio 2008

La signora dagli occhi tristi


Lei non aveva mai amato gli ospedali. Era per quello che, seduta in quella sala d’attesa, traspirava da ogni suo poro il suo disagio. Pensare che non era nemmeno venuta lì per se, ma doveva solo accompagnare un’amica, che era svenuta mentre camminavano in centro (un calo degli zuccheri, nulla di grave, aveva detto il ragazzo col camice bianco, con gli zoccoli da corsia e due penne nel taschino sul cuore). Perché ci mettevano così tanto, se non era grave? Voleva scappare di lì; l’odore, i rumori, il colore delle pareti, tutto insomma urtava il suo spirito libero. Guardava gli uccellini dalla finestra planare per raggiungere il nido e ripartire subito dopo, verso chissà quale meta misteriosa. Il suo sguardo si posò poi sulle sue scarpette gialle: le scarpe del week-end le chiamava lei: se sapeva che avrebbe dovuto passare il pomeriggio lì dentro avrebbe messo qualcosa di più neutro, come se qualunque colore vivo stonasse all’interno di quella corsia. Sollevando nuovamente lo sguardo, vide una signora molto anziana, seduta su una carrozzina, che qualcuno aveva dimenticato davanti a lei. Non era la posizione innaturale in cui la vecchia era seduta, nemmeno la flebo gigantesca che le bucava il braccio, quello che la colpì: erano piuttosto gli occhi tristi e profondi, rassegnati, che sembravano ascoltare una musica lontana.
Quella scena le mise un senso di disagio ulteriore, voleva andarsene, fuggire via. E se lei da vecchia fosse diventata così, sola, dimenticata?
“Sai cosa sta pensando?”. Una voce proveniente dalla sua destra la riportò alla realtà: un ragazzo, apparentemente della sua stessa età, era seduto due sedie più lontano, con le braccia incrociate sul petto e le gambe distese. La guardava con un sorriso appena accennato, e uno sguardo sicuro. Lei non sapeva se rispondergli, non le piaceva parlare con gli sconosciuti, specialmente in una situazione come questa: ci mancava solo uno scocciatore che rompesse il silenzio con qualche banalità… Ma lui non aspettò una risposta: dopo essersi alzato, le si avvicinò, sedendosi nella sedia libera al fianco di lei. Lui avvicinò la testa a quella della nostra amica, come per volerle bisbigliare qualcosa nell’orecchio: lei non poteva muoversi, qualcosa la tratteneva. Il giovane posò in modo delicato ma sicuro una mano sul braccio di lei, poi cominciò a parlare, piano, a bassa voce, guardando in modo defilato l’anziana signora. “Immagina una pista da ballo, vicino ad un lago artificiale poco fuori il paese; c’è una grande festa, tutti sono invitati. Non ci sono lampioni o fari, ma solo grosse lanterne attaccate ai salici che si perdono fin dove l’occhio può arrivare. Ma l’illuminazione è garantita ulteriormente dai raggi della luna piena, che rotonda sorride sopra i monti. Una musica d’atmosfera sta già suonando, ma nessuno balla ancora: i ragazzi sono tutti da un lato della pista, chi fumando sigarette americane, chi invece chiacchierando degli ultimi esami universitari o del lavoro. Le ragazze invece, abbellite come non mai, hanno il vestito lungo che lascia in modo malizioso intravedere la calzetta di cotone bianco, e sorridono tra loro. Ad un certo punto l’orchestra prende l’iniziativa, scandendo un lento moderno: è il momento che comincino le danze. I ragazzi si avvicinano invitando le dame, che poco a poco sciolgono gli indugi e si lasciano convincere: solo lei, la più bella di tutte, non ha ancora acconsentito l’onore a nessuno. Tutti i giovani hanno provato, certo, a conquistare quei pochi minuti di sogno con lei, ma invano. Ma proprio quando tutto sembra far pensare che quel ballo l’avrebbe perso, ecco che un giovane straniero le si avvicina, e lei comincia a ballare. Lui non è più bello degli altri, e non ha detto una parola, non può averla conquistata con qualche banalità. Non fa parte della massa, è lontano anni luce da lì, e lei spera che possa portarlo via con lui, lontano, distante anni luce dalle noie quotidiane.”
La ragazza dalle scarpe gialle ascoltava queste parole trattenendo il respiro, non osando quasi guardare la vecchia dagli occhi tristi. “Ma poi, finito il ballo, l’uomo misterioso si allontana com’è venuto, e lei, pur volendo corrergli dietro, lo lascia andar via, senza far nulla. Si sposerà, vivrà una vita felice, ma un giorno, vecchia, in un triste ospedale dimenticata dai figli e dai nipoti, non penserà ad altro che alla vita che avrebbe potuto vivere. Al suo potente amore misterioso.” Detto questo, il giovane si alzò e si diresse verso l’uscita. Lei, per la prima volta, non riuscì a muoversi. Aveva appena visto, con occhi non suoi, un tempo che non le apparteneva.
E si stava innamorando.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

bello...
..soprattutto i particolari e i dettagli..le scarpette gialle..gli occhi...
sembra di avere la scena davanti agli occhi..

Anonimo ha detto...

Come sempre con le tue parole riesci ad emozionarmi...è vero non scrivi spesso ma questo non ti rende meno scrittore!
Bellissimo questo racconto..mi sa che dovrò cambiare il mio greatest hits :-)

Virgi

Anonimo ha detto...

ero li...a quel ballo...mi sono emozionata al pensiero dello straniero, e mi sono commossa al pensiero di essere li sulla carrozina...
e tutto grazie alle tue parole...
grazie...
ciri

Anonimo ha detto...

Ti ricordi la foto con le scarpette gialle e le calze antistupro (che veramente non si rivelarono mai così)? Avrei dovuto mandarti anche quella, ma avresti corso il rischio di veder sminuito il tuo splendido racconto... :-)

ciao tenero!

Fede